Scritti e Testi in Evidenza da Fonti diverse e citate
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Papa Francesco all’Università Cattolica di Buenos Aires:
Non esiste una Chiesa particolare isolata, che possa dirsi sola, come se pretendesse di essere padrona e unica interprete della realtà e dell’azione dello Spirito. Non esiste una comunità che abbia il monopolio dell’interpretazione o dell’inculturazione. Come, all’opposto, non esiste una Chiesa Universale che dia le spalle, ignori, si disinteressi della realtà locale. La cattolicità esige, chiede questa polarità tensionale tra il particolare e l’universale, tra l’uno e il multiplo, tra il semplice e il complesso. Annichilire questa tensione va contro la vita dello Spirito. Ogni tentativo, ogni ricerca di ridurre la comunicazione, di rompere il rapporto tra la Tradizione ricevuta e la realtà concreta, mette in pericolo la fede del Popolo di Dio. Considerare insignificante una delle due istanze è metterci in un labirinto che non sarà portatore di vita per la nostra gente. Rompere questa comunicazione ci porterà facilmente a fare della nostra visione, della nostra teologia un’ideologia.
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uno dei compiti principali del teologo è di discernere, di riflettere: che cosa significa essere cristiani oggi? “nel qui e ora”; come riesce quel fiume delle origini a irrigare oggi queste terre e a rendersi visibile e vivibile?
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 dobbiamo superare due possibili tentazioni: condannare tutto, coniando la già nota frase «il passato è sempre migliore» e rifugiandoci in conservatorismi o fondamentalismi; oppure, al contrario, consacrare tutto, negando autorità a tutto ciò che non ha “sapore di novità”, relativizzando tutta la saggezza coniata dal ricco patrimonio ecclesiale.
Per superare queste tentazioni, il cammino è la riflessione, il discernimento, prendere molto sul serio la Tradizione ecclesiale e molto sul serio la realtà.
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lo studio della teologia assuma grandissima importanza. Un servizio insostituibile nella vita ecclesiale.
Non sono poche le volte in cui si genera un’opposizione tra teologia e pastorale, come se fossero due realtà opposte, separate, che non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra. Non sono poche le volte in cui identifichiamo dottrinale con conservatore, retrogrado; e, all’opposto, pensiamo la pastorale a partire dall’adattamento, la riduzione, l’accomodamento. Come se non avessero nulla a che vedere tra loro. In tal modo si genera una falsa opposizione tra i cosiddetti “pastoralisti” e gli “accademicisti”, quelli che stanno dalla parte del popolo e quelli che stanno dalla parte della dottrina. Si genera una falsa opposizione tra la teologia e la pastorale; tra la riflessione credente e la vita credente; la vita, allora, non ha spazio per la riflessione e la riflessione non trova spazio nella vita. I grandi padri della Chiesa, Ireneo, Agostino, Basilio, Ambrogio, solo per citarne alcuni, furono grandi teologi perché furono grandi pastori.
Uno dei contributi principali del Concilio Vaticano II è stato proprio quello di cercare di superare questo divorzio tra teologia e pastorale, tra fede e vita. Oso dire che ha rivoluzionato in una certa misura lo statuto della teologia, il modo di fare e di pensare credente.
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Le nostre formulazioni di fede sono nate nel dialogo, nell’incontro, nel confronto, nel contatto con le diverse culture, comunità, nazioni, situazioni che richiedevano una maggiore riflessione di fronte a quanto non esplicitato prima. Perciò gli eventi pastorali hanno un valore considerevole. E le nostre formulazioni di fede sono espressione di una vita vissuta e ponderata ecclesialmente.
 
In un cristiano c’è qualcosa di sospetto quando smette di ammettere il bisogno di essere criticato da altri interlocutori. Le persone e le loro diverse conflittualità, le periferie, non sono opzionali, bensì necessarie per una maggiore comprensione della fede. Perciò è importante chiedersi: A chi stiamo pensando quando facciamo teologia? Quali persone abbiamo davanti? Senza questo incontro con la famiglia, con il Popolo di Dio, la teologia corre il grande rischio di diventare ideologia. Non ci dimentichiamo, lo Spirito Santo nel popolo orante è il soggetto della teologia. Una teologia che non nasce nel suo seno ha l’olezzo di una proposta che può essere bella, ma non reale.
 
Questo ci rivela la sfida insita nella vocazione del teologo, quanto sia stimolante lo studio della teologia e la grande responsabilità che si ha nel realizzarlo. Al riguardo mi permetto di chiarire tre tratti dell’identità del teologo:
 
1. Il teologo è in prima istanza un figlio del suo popolo. Non può e non vuole disinteressarsi dei suoi. Conosce la sua gente, la sua lingua, le sue radici, le sue storie, la sua tradizione. È l’uomo che impara a valorizzare ciò che ha ricevuto, come segno della presenza di Dio, poiché sa che la fede non gli appartiene. L’ha ricevuta gratuitamente dalla Tradizione della Chiesa, grazie alla testimonianza, alla catechesi e alla generosità di tanti. Questo lo porta a riconoscere che il Popolo credente nel quale è nato ha un significato teologico che non può ignorare. Sa di essere “innestato” in una coscienza ecclesiale e s’immerge in quelle acque.
 
2. Il teologo è un credente. Il teologo è qualcuno che ha fatto esperienza di Gesù Cristo e ha scoperto che senza di Lui non può più vivere. Sa che Dio si rende presente, come parola, come silenzio, come ferita, come guarigione, come morte e come resurrezione. Il teologo è colui che sa che la sua vita è segnata da questa impronta, da questo marchio, che ha lasciato aperte la sua sete, la sua ansia, la sua curiosità, la sua esistenza. Il teologo è colui che sa di non poter vivere senza l’oggetto/soggetto del suo amore e consacra la sua vita per poterlo condividere con i suoi fratelli. Non è teologo chi non può dire: «non posso vivere senza Cristo», e pertanto, chi non vuole farlo cerca di sviluppare in se stesso gli stessi sentimenti del Figlio.
 
3. Il teologo è un profeta. Una delle grandi sfide poste nel mondo contemporaneo non è solo la facilità con cui si può prescindere da Dio ma, socialmente, si è fatto anche un ulteriore passo. La crisi attuale s’incentra sull’incapacità che hanno le persone di credere in qualsiasi altra cosa oltre se stesse. La coscienza individuale è diventata la misura di tutte le cose. Ciò genera una crepa nelle identità personali e sociali. Questa nuova realtà provoca tutto un processo di alienazione dovuto alla carenza di passato e pertanto di futuro. Per questo il teologo è il profeta, perché mantiene vivi la coscienza del passato e l’invito che viene dal futuro. È l’uomo capace di denunciare ogni forma alienante perché intuisce, riflette nel fiume della Tradizione che ha ricevuto dalla Chiesa, la speranza alla quale siamo chiamati. E a partire da questo sguardo, invita a risvegliare la coscienza sopita. Non è l’uomo che si conforma, che si abitua. Al contrario, è l’uomo attento a tutto quello che può danneggiare e distruggere i suoi.
 
Perciò, c’è un solo modo di fare teologia: in ginocchio. Non è solamente un atto pietoso di preghiera per poi pensare la teologia. Si tratta di una realtà dinamica tra pensiero e preghiera. Una teologia in ginocchio è osare pensare pregando e pregare pensando. Comporta un gioco, tra il passato e il presente, tra il presente e il futuro. Tra il già e il non ancora. È una reciprocità tra la Pasqua e tante vite non realizzate che si domandano: Dov’è Dio?
 
È santità di pensiero e lucidità orante. È, soprattutto, umiltà che ci consente di porre il nostro cuore, la nostra mente in sintonia con il “Deus semper maior”.
 
Non dobbiamo aver paura di metterci in ginocchio davanti all’altare della riflessione e di farlo con «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono» (Gaudium et spes, n. 1), dinanzi allo sguardo di Colui che fa nuove tutte le cose (cfr. Ap 21, 5).
 
Allora c’inseriremo sempre più in quel popolo credente che profetizza, popolo credente che annuncia la bellezza del Vangelo, popolo credente che «non maledice, bensì è accogliente e sa realizzare la vita benedicendola. Cerca così una corrispondenza creatrice con i problemi della nostra epoca»


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